venerdì 8 febbraio 2013

Non riesco più a leggere


Non riesco più a leggere. 

Non nel vero senso della frase, fortunatamente gli insegnamenti delle maestre alle elementari sono ancora efficaci. Non voglio neanche dire che non ho più tempo per leggere romanzi, sebbene rispetto ai miei anni d’oro io abbia dovuto registrare una flessione in negativo tendente allo zero. Figli, lavoro, impegni mi hanno assorbito al 90%. La scrittura si è presa il restante 10% e allora tanti saluti a tutti. Grazie al cielo, nell’ultimo periodo sono riuscito a riprendere in mano un libro e a ritagliarmi uno spazio per la lettura, approfittando di una pausa tra la fine di un manoscritto e l’inizio del prossimo (a fatica, devo ammetterlo, perché ero e sono in fervente fase creativa).

Proprio la nuova lettura, che nello specifico è “Silenzio Assoluto” di Frank Schatzig (se si scrive così) mi ha messo di fronte a questa nuova verità. Non so più leggere. Non so più leggere come un tempo, facendolo per il gusto di farlo, abbandonandomi all’autore e alle sue creazioni con fiducia, lasciandomi traportare per mano nella storia, accanto ai suoi personaggi.

Sarà che ho cominciato a scrivere a mia volta con regolarità. Sarà che ho imparato a leggere, rileggere e rileggere ancora i miei manoscritti alla caccia di errori, ripetizioni, incongruenze. Sarà che le recensioni a miei libri e a libri di altri esordienti che ho letto mi hanno aperto gli occhi verso un certo tipo di imprecisioni da evitare.

Fatto sta che leggo il romanzo e, anziché lasciarmi assorbire completamente, percepisco una parte di me che, con piena razionalità e un certo meccanicismo, sonda ogni paragrafo, ogni frase, alla ricerca di errori. In altre parole, leggo non come un lettore, ma come un correttore di bozze. Mi saltano all’occhio ripetizioni, refusi, dialoghi poco convincenti, situazioni paradossali. Non mi chiedo se la storia mi sia piaciuta, ma se l’autore l’abbia scritta bene.

Non so se sia un bene o un male. Di certo indica che sto sviluppando una certa raffinatezza, una certa attenzione, che non può che giovare al mio lavoro e della quale devo ringraziare chi, come dicevo sopra, ha recensito i miei libri (in particolare “L’Eredità”). D’altro canto, non vorrei trasformarmi lentamente in un “critico”, per così dire, perché i critici di rado apprezzano davvero qualcosa; sono più portati a trovare i difetti, che a elencare i pregi; godono, tra virgolette, nel distruggere, più che nel supportare chi crea e costruisce.

Nella vita, sono sempre stato convinto che tutto debba reggersi sulle emozioni, sulle relazioni. La ragione serve solo da supervisore, da barriera di protezione per evitare di superare certi limiti pericolosi. Applicata alla lettura, questa “filosofia” mi porta a pensare che se uno scrittore, famoso o emergente, riesce a trasmettere sensazioni forti, riesce a creare un legame con il lettore – legame autore-lettore o autore-personaggi – i difetti dello stile e del contenuto passano in secondo piano. Ovviamente deve trattarsi di difetti marginali.

Scrivere è un viaggio, come ho intitolato questo blog. Allora, a mio parere, scrivere bene è saper prendere per mano il lettore e accompagnarlo in questo viaggio. Poi lungo la strada si può anche parlare in dialetto e si può sobbalzare con le buche nell’asfalto, ma se si sta bene insieme, se la compagnia è piacevole, l’esperienza sarà comunque magica e indimenticabile.   

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