venerdì 26 luglio 2013

Sui sogni

Il mio primo esperimento di "poesia" era un brevissimo e banalissimo componimento intitolato "Gli incubi sono meglio dei sogni" - quello che in ambito giornalistico si definirebbe un titolo freddo. In breve, spiegavo in rima come fosse meglio svegliarsi terrorizzati dagli zombie e scoprire che non esistono, piuttosto che aprire gli occhi e dover ammettere che l'esperienza gratificante che stavamo vivendo era solo frutto dell'immaginazione.

Questa breve premessa serve a introdurre una riflessione che mi ha impegnato più volte, negli anni, e che di tanto in tanto si riaffaccia alla mia mente. Non parlo del concetto espresso da quella infantile poesia, ma di qualcosa di più profondo, e filosofico forse.

I sogni sono la nostra finestra di collegamento verso il passato e il futuro, verso altre vite che potremmo vivere, che non vivremo mai o che in qualche caso stiamo vivendo, senza averne coscienza.

Che cosa determina la nostra percezione della realtà? O meglio: che cosa ci fa comprendere che siamo vivi? Io ritengo che siano le sensazioni, ma ancor più i sentimenti che ne derivano. Capisco di essere vivo quando soffro per la perdita di qualcuno, quando un bacio mi riempie di energia positiva, quando un tramonto o una melodia mi aprono il cuore. È quel che vedo e che tocco, ma soprattutto quel che sento.

Certi sogni trasmettono sensazioni analoghe, a volte anche più intense, di quelle che sperimentiamo nella vita reale. Chi ci assicura, allora, che quella che viviamo di notte non sia una vera e propria esistenza alternativa, o una di tante, a cui abbiamo accesso solo sporadicamente, grazie alle facoltà sconosciute della nostra mente? Se esistere è provare emozioni, come sostengo, allora il sogno è una diversa forma di esistenza.

Nei due anni successivi alla morte di mio nonno l'ho sognato varie volte. In una occasione, la sera dopo il mio compleanno, rispondevo al telefono e sentivo la sua voce. Si scusava per avermi fatto gli auguri in ritardo e mi diceva che comunque era contento di vedere che le cose mi andavano bene. In un altro sogno scoprivo invece che mio nonno era accanto a me e, alzandosi, mi veniva incontro e mi abbracciava. In entrambi i casi mi svegliai appagato, felice. Non di quella felicità derivante dal dire «Ho sognato il nonno». Io avevo rivisto mio nonno, lo avevo toccato, avevo interagito con lui in quella vita alternativa a cui il sogno mi aveva permesso di accedere.

In altre vite parallele io faccio un altro lavoro, conosco altre persone, vivo in Paesi diversi. Quelle vite per me hanno la stessa consistenza di quella in cui mi trovo ora, mentre scrivo: l'unica differenza è che questa la sperimento con costanza, le altre invece si manifestano di rado e per brevi intervalli. Ma sono sufficienti ad acquisire validità, dignità, e a farmi essere contento, pieno, perché ho la certezza che grazie ad esse la mia anima può esplorare tutte le possibilità dell'esistenza. 

Uscendo ora dalla riflessione poetico-filosofica e riapprodando alla razionalità, potrei dire in coro con voi: «Dai, ma ci credi davvero o volevi riempire un post del blog?» Mi rendo conto che sono pensieri privi di fondamento, senza alcuna prova e per certi versi fantascientifici, ma sono altrettanto consapevole che ho piena libertà di crederci. 

D'altronde, miliardi di persone credono in Dio e qualcuno ha mai provato che esista? Ma la vera domanda è: se una cosa ci fa sentire meglio, è davvero necessario dimostrarne la veridicità?

giovedì 11 luglio 2013

A scuola di amore

Andreste mai a scuola di amore? 

Intendo una scuola dove vi insegnino come amare: come bisogna far battere il cuore, come bisogna provocare la sensazione di vuoto allo stomaco quando si vede la ragazza o il ragazzo dei propri sogni, come si stimola la sensazione di leggerezza dopo un suo saluto, un suo sorriso, un suo bacio. Una scuola dove vi espongano le regole a cui attenersi per innamorarsi, iniziare e continuare la vostra relazione sentimentale.

Non so voi, ma io no, non ci andrei. Mi irriterei anche con chiunque me la proponesse, a dire il vero, e sapete perché? Perché l'amore, per sua stessa definizione, non può essere assoggettato a regole. Un sentimento così profondo, così totalizzante, non può essere vissuto appieno se non lo si lascia completamente libero, senza porre freni, senza cercare di costringerlo entro i limiti di qualunque forma di razionalità. 

In una delle interviste che colleghi blogger mi hanno gentilmente concesso, ho dichiarato che «Per me scrivere è una passione e una missione personale: l’obiettivo è rendere la mia vita meno noiosa, meno piatta, meno ordinaria. [...] scrivere non deve essere un business. Scrivere deve essere come amare.» L'argomento che trattavamo era diverso, ma l'analogia con l'amore si presta al ragionamento che voglio portare avanti con questo post.

Ho sentito parlare di decine di corsi di scrittura creativa. Non ne ho mai frequentato uno, nè mai ne frequenterò, nè tanto meno asservirò la mia ideologia personale al profitto e accetterò di tenerne uno in futuro, se mai qualcuno me lo chiedesse. A dire il vero, non mi sono mai neanche interessato ai temi che possano essere trattati in un corso del genere, e tutto ciò potrà essere usato contro di me per accusarmi di parlare senza esperienza, senza cognizione di causa.

Il fatto è che l'idea stessa che qualcun altro, chiunque altro, voglia insegnare le regole della scrittura mi fa storcere il naso. Le uniche regole che esistono sono quelle grammaticali, e da quelle non si scappa, ma c'è già la scuola per questo. Tutto il resto deve derivare dal singolo aspirante scrittore, dal suo bagaglio culturale, dalla sua esperienza come lettore, dal messaggio che vuole trasmettere. Senza regole prestabilite. Altrimenti avremmo centinaia di libri identici, nei quali cambia la storia ma dove non si sente l'individualità stilistica dell'autore.

I giudici saranno i lettori, ma valuteranno secondo il loro gusto personale e non secondo l'adesione a regole preconfezionate. Allo stesso modo in cui la nostra amata non ricambierà il nostro amore perché le abbiamo regalato rose rosse e l'abbiamo portata a cena, come nei film, ma perché siamo noi stessi. È vero, potremmo anche fingere di essere qualcun altro, negare noi stessi, conformarci, e prenderci la bionda avvenente invece della ragazza acqua e sapone. 


Ma saremmo davvero felici?