venerdì 28 novembre 2014

Tra Palco e Realtà

Signore e signori, attendo da un anno e mezzo questo momento. Ma alla fine è arrivata anche l'ora dell'annuncio ufficiale, pertanto (rullo di tamburi):


venerdì 14 novembre 2014

Scrivere è (davvero) un Viaggio

Sono passati più di due anni da quando ho iniziato a gestire questo blog, che, nonostante alcune fasi difficili, sembra resistere. Quando lo aprii, scelsi il titolo di getto, senza riflettere troppo. Avevo abbozzato altri blog in precedenza e tutti vertevano sul percorso che mi vedeva impegnato verso la stesura di un romanzo e la sua eventuale pubblicazione. Forse fu in tal senso che la mente mi suggerì la metafora del viaggio, che poi definisco meglio nel sottotitolo/descrizione del blog. In ogni caso, non vi fu uno studio vero e proprio del titolo e, a dire il vero, “Scrivere è un Viaggio” mi suonava anche come banale e trito.

Pochi giorni prima della presentazione viadanese de “Il Segreto di Malun”, la mia ormai inseparabile relatrice Monica mi ha suggerito che avremmo potuto parlare della mia scrittura intesa come viaggio, legandoci proprio al blog. Alla fine non c’è stato tempo, ma ormai Monica mi aveva messo la pulce nell’orecchio e mi aveva fatto riflettere. Così, a posteriori, posso affermare che il titolo del blog calza a pennello. Scrivere è davvero un viaggio.

Quando partiamo per un viaggio siamo colmi di emozione e aspettative, ed è così che mi sento ogni volta che mi appresto ad iniziare una storia nuova. Allo stesso tempo, soprattutto se il viaggio non è pianificato nei minimi dettagli, sperimentiamo un certo timore per ciò che potrebbe attenderci, per eventuali imprevisti, per le difficoltà che potremmo incontrare e che non possiamo in alcun modo preventivare. Potremmo bucare una ruota o perdere una coincidenza, allo stesso modo in cui io potrei accorgermi dopo centinaia di pagine che una storia non funziona, che una spiegazione non regge.

Viaggiare ci porta a contatto con nuovi luoghi, nuove persone, nuove culture. Ci insegna molto, stimola in noi il desiderio di conoscere, di informarci, di aggiornarci. In un certo senso, ci aiuta anche a conoscere meglio noi stessi, perché è dal confronto con chi è diverso che possiamo comprendere la nostra unicità. E ci spinge anche a donare noi stessi, a mettere in mostra ciò che siamo, a esibire il meglio di noi tutto e subito, perché le relazioni, in viaggio, sono rapide e fugaci.

Viaggiare può anche farci perdere delle persone. Alcune possiamo lasciarle lungo la strada, scegliendo una direzione diversa a un bivio. Altre, forse, rimangono a casa e le nuove esperienze ce le mostrano sotto una luce diversa, il che ci induce, lentamente ma inesorabilmente, a farle scivolare via dalle nostre vite, in quanto incompatibili. Analogamente, lo stesso impianto della nostra esistenza quotidiana, delle nostre aspettative, del nostro modo di pensare possono essere messi in discussione e rivoluzionati in base a quanto viviamo durante un viaggio particolarmente lungo, intenso e formativo.

Io non sono mai stato un grande viaggiatore, ma da tempo ormai viaggio con la scrittura, e posso confermare che queste sensazioni le provo tutte e che sono una delle ragioni principali per cui non smetto. In questi tre anni molto è cambiato: la strada si è fatta sempre più in salita, il denaro è sempre meno e molto spesso mi trovo a viaggiare da solo. Ma l’entusiasmo, la spinta iniziale che mi ha condotto fino a qui, quello non si è mai affievolito. L’unico modo per fare in modo che sia sempre così è convincersi di non essere ancora arrivati. Spesso è quando giungi alla meta che ti adagi e, contemporaneamente, senti che tutte le emozioni si affievoliscono, perché inizi a pensare al ritorno a casa.


Se non arrivi mai, non c’è mai il rischio che tu debba tornare sui tuoi passi. Puoi solo continuare ad andare avanti!

sabato 8 novembre 2014

RECENSIONE: "Fuga dal Destino", di Antonio Traficante


TITOLO: Fuga dal Destino
AUTORE: Antonio Traficante
EDITORE: 0111 Edizioni
LINK ACQUISTO: IBS

LA MIA RECENSIONE

Sfido chiunque a non pensare, dopo aver ultimato la lettura di questo romanzo, che a scriverlo non sia stato un autore esperto, non certo un esordiente alla prima esperienza editoriale. Invece dobbiamo ricrederci, io in primis, perché Antonio Traficante, a quanto si legge nella biografia, è al suo primo libro, e questo dettaglio, rapportato alla qualità della storia che andrò ad esporre, gli fa meritare i primi, sinceri complimenti.

Siamo di fronte a un thriller classico, che lì per lì avrei definito "alla Dan Brown", ma che del famoso scrittore in realtà riprende solo il ritmo narrativo. Manca la componente misteriosa, se vogliamo definirla così, per lasciare spazio a una storia comunque intricata, ricchissima di colpi di scena e capace di trascinare il lettore pagina dopo pagina. Come di consueto, non voglio parlare della trama, ma vale la pena buttare lì qualche parola chiave capace di trasmettere il "profumo" della vicenda: CIA, inseguimenti, droni, doppiogiochismo, ostaggi.

Quello che mi ha colpito prima di tutto, come anticipavo, è la capacità dell'autore di dare vita ad una storia assolutamente verosimile, ambientata in luoghi diversi del mondo (da Francoforte ad un barcone di immigrati clandestini, dalla Puglia agli Stati Uniti), senza risultare artificioso. Mi spiego: l'impressione è che Traficante abbia realmente visitato i luoghi di cui parla, perché ne descrive i particolari con assoluta naturalezza. Non so se abbia effettivamente viaggiato e fatto ricerche ad hoc, ma dubito che si sia imbarcato in un viaggio della speranza dall'Iran all'Italia... eppure riesce a descriverne uno senza lasciare spazio a perplessità nel lettore.

Allo stesso modo vengono trattati i protagonisti della storia. Si va dal militare al "terrorista", dall'agente segreto alla moglie adirata col marito troppo preso dal lavoro, ma il modo in cui vengono dipinti è privo di stereotipi. Siamo al cospetto di persone vere, vive, per dirlo in altri termini, tanto dal punto di vista descrittivo, quanto da quello dei dialoghi, estremamente personalizzati. Anche da questo punto di vista, segnalo la presenza di diverse frasi in lingua farsi che testimoniano la cura dei dettagli e l'accurata ricerca a cui l'autore deve essersi dedicato prima di cominciare il romanzo... altra attività da non-esordiente!

Il ritmo, per concludere, rispetta perfettamente le regole imposte dal genere di appartenenza del romanzo. Il tempo per riflettere è davvero poco, le descrizioni e le riflessioni dei personaggi ridotte al minimo. Ci troviamo davanti, pagina dopo pagina, ad azione pura, continui ribaltamenti; quando un problema sembra risolto, scopriamo che in realtà ne è appena iniziato uno nuovo e più grave. Solo le prime cinquanta pagina appaiono come introduttive, ma è l'equivalente della breve salita che precede l'inizio della corsa sulle montagne russe.

L'autore ha sicuramente la fortuna, per così dire, di scrivere uno dei miei generi preferiti, ma ha soprattutto il merito di averlo interpretato alla perfezione. Uno dei tanti casi in cui mi viene da pensare a quanto la differenza tra autori famosi e altri emergenti/sommersi non abbia niente a che vedere col rispettivo talento, ma con una serie di coincidenze e porte-a-cui-si-è-bussato. Ancora complimenti!